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Guida allo streaming musicale: tutto quello che devi sapere sui servizi disponibili in Italia

Facciamo il punto - ad oggi - sui diversi disponibili di streaming musicale: quanto costano, come suonano, vastità della libreria e altro ancora.


Facciamo il punto – ad oggi – sui diversi disponibili di streaming musicale: quanto costano, come suonano, vastità della libreria e altro ancora.

Ormai ogni audiofilo, anche il più restio ai cambiamenti imposti dal digitale, sta facendo i conti con la musica in streaming. Cataloghi sterminati al costo mensile di un CD (o anche meno!), versatilità d’uso, ottima qualità d’ascolto (quasi sempre) e la possibilità di essere fruiti da una moltitudine di dispositivi. Anche in mobilità. Impossibile resistere.

Il settore dei servizi di streaming musicale è in grande fermento e – al netto della diatriba sulle basse revenue corrisposte agli artisti – probabilmente ha salvato l’industria della musica, azzoppata dalla pirateria e dal sostanziale disinteresse delle giovani generazioni sia per la fruizione dei formati lunghi (album) e sia di qualsiasi smania di collezionismo.

E – per inciso – a oggi il 62% dei ricavi dell’industria della musica arriva dai servizi di streaming, contro un 19% dai supporti fisici (fonte: International Federation of the Phonographic Industry).

Come dicevamo poche righe fa, il settore è oggetto di continue grandi manovre e quindi questa guida ai servizi di streaming tiene conto dello stato delle cose a oggi, luglio 2021, al netto delle lunghe prove che abbiamo effettuato durante gli ultimi 4 mesi. 

Teniamo quindi in debito conto che nuovi accordi potrebbero essere dietro l’angolo e che Spotify (il servizio più diffuso) dovrebbe lanciare entro l’anno la sua versione ad alta risoluzione, al momento clamorosamente assente e invece saldamente presente in praticamente tutti i suoi concorrenti.

I rischi dei servizi di streaming musicale

Quello dei servizi di streaming musicale è un fenomeno destinato a restare, ma che rischia di cambiare inesorabilmente il mondo della musica per diverse ragioni.

In prima luogo entra pesantemente in ballo il fenomeno di familiarità. L’essere umano è piuttosto complesso: è attratto dalle novità, ma ne ha paura alla stesso tempo, dato che atavicamente dietro la novità… potrebbe nascondersi il pericolo. Nel nostro caso, molto più psicologicamente, si nasconde la possibilità di (ri)mettere in discussione molte certezze, operazione faticosa per il nostro cervello e che implica un grande dispendio di energie, cosa che in pochi sono disposti a fare regolarmente.

I servizi di streaming musicale sono impostati in modo da favorire e assecondare il nostro bisogno di familiarità, tanto più forte quanto più avanza l’età (in gioventù mediamente abbiamo una forte attrazione per il nuovo, che via via col trascorrere dell’età si trasforma in neofobia).

Pensate alla funzione weekly discover di Spotify. All’inizio era impostata in modo da proporre tracce musicali che probabilmente non avremmo mai ascoltato o scoperto. Alla società svedese ben presto si sono accorti che questa funzione non solo veniva usata pochissimo, ma proprio non piaceva.

Non gli è rimasto altro che cambiare l’algoritmo che ne è alla base per spostare questo tipo di scoperta verso suoni, ritmi e melodie già familiari all’utente.

Più interessante invece per i nostri scopi è il cambiamento di modalità di fruizione del prodotto musica, che – per come sono impostate le interfacce – si presta molto meglio alla creazione di playlist e all’ascolto random, piuttosto che alla fruizione di un album per intero.

Già dai primi lettori CD e il loro telecomando era cambiato tutto. Una traccia non mi piace… zack! Con un tasto la salto. Ora addirittura è tutto molto più semplice, basta un tap sullo schermo tattile.

È vero che la colpa non è (sempre) del mezzo, ma più spesso dell’uso che ne facciamo, ma qui siamo alle prese con un mezzo che ci induce in tentazione spesso. E chi siamo noi per resistere alle tentazioni? 

Questo porta inevitabilmente anche a un cambiamento della produzione artistica, sempre più interessata ai formati brevi (singoli ed EP), piuttosto che agli album interi.

C’è poi l’annossa questione delle revenue agli artisti, risibilmente basse e impostate con un meccanismo che premia i best seller per condannare alla fame le band più di nicchia. Discorso complesso e che ci porterebbe troppo lontano.

Come provare i servizi di streaming

Inoltre, praticamente tutti (o quasi) i servizi di streaming musicale danno la possibilità di provare la loro piattaforma e molti (Tidal su tutti) spesso lanciano offerte a tempo che comprendono un periodo di 3 mesi per pochi spiccioli.

Quindi, mani sulla tastiere, un po’ di pazienza, un bel po’ di sana curiosità e tantissima voglia di divertirsi trasformando la nostra passione per la musica in un gigantesco luna park.

Come scegliere il servizio di streaming musicale

Più facile a dirsi che a farsi, scegliere il servizio di streaming musicale più adatto alle proprie esigenze è (dovrebbe) essere motivo di attenta analisi. Le esigenze infatti potrebbero essere molto diverse: condividere un abbonamento col resto della famiglia (in cui magari alcuni dei componenti sono ragazzi), ottenere il massimo della qualità dal proprio impianto, avere la flessibilità di fruire di una libreria musicale sia in casa e sia in mobilità, spremere al meglio il proprio ecosistema (Apple, ad esempio), ascoltare dal divano con l’impianto faticosamente assemblato, o in cuffia in palestra, o altre esigenze ancora.

A tutto questo aggiungete che i diversi servizi come elemento differenziatore spesso hanno una o più funzioni assenti in altri e viceversa.

Quindi, non solo quantità di brani in catalogo, ma anche considerazioni sulla modalità di fruizione del servizio, oltre che – ovviamente – sulla qualità audio intrinseca dello streaming.

Amazon Music

Il servizio di streaming musicale di Amazon è diviso in quattro prodotti:

  • Amazon Music base, gratuito
  • Prime
  • Unlimited
  • HD

Il servizio gratuito ha un numero molto limitato di brani e comprendo l’ascolto di alcune (poche) radio online.

Gli abbonati Prime (in Italia il costo è uno dei più bassi, al momento 36 euro l’anno), oltre l’accesso al servizio Prime Video e le consegne gratuite dallo store, hanno accesso a un catalogo di circa 2 milioni di brani riproducibili in Mp3 a 256 kbps.

Con il piano Unlimited per 9,99 euro al mese si passa a una libreria di 60 milioni di brani, sempre in Mp3 a 256 kbps.

Al momento l’upgrade da Unlimited al piano Amazon Music HD è gratuito e/o sottoscrivibile allo stesso prezzo del priano inferiore, ovvero i soliti 9,99 euro al mese. Comprende lo streaming di Flac a qualità CD (16 bit e 44.1 kHz a 850 kbps), ma anche moltissimi brani a 24 bit e 192 kHz.

Per dovere di cronaca segnaliamo anche la disponibilità di un piano Unlimited a 3,99 al mese dedicato esclusivamente ad essere fruito sui dispositivi Amazon Echo (Alexa) e Fire TV, soluzione in quest’ultimo caso interessante e a bassissimo costo per chi dispone di un impianto home theater.

Cosa ci piace e cosa no di Amazon Music

Mi è piaciuta molto la qualità di riproduzione dei formati ad alta risoluzione e ho trovato nella media quella degli Mp3. Siamo alle prese probabilmente col servizio col miglior rapporto qualità/prezzo.

Decisamente migliorabile l’interfaccia dell’applicazione (disponibile per Windows, MacOS, smartphone e tablet Android e iOS), al momento piuttosto confusionaria.

Link: music.amazon.com

Apple Music

Veterana dei servizi di streaming, Apple strizza l’occhio a chi già è con tutte le scarpe nel suo ecosistema, rendendo la scelta del suo servizio come la più naturale per i possessori di iPhone e computer Mac. Ma non solo.

Di recente, con un colpo che ha stordito la concorrenza, ha reso disponibile l’upgrade all’HiRes mantenedo lo stesso prezzo, i soliti 9,99 euro al mese oppure 14,99 euro al mese per nuclei familiari fino a 6 persone, ma anche a 4,99 euro al mese per gli studenti, che per questa cifra si mettono in tasca anche l’accesso al servizio video AppleTV+.

Lo streaming di file compressi di Apple è sempre stato il migliore del lotto grazie all’adozione del formato AAC a 256 kbps; la fruizione ad alta qualità – ultima novità della casa di Cupertino – è in formato ALAC a 24 bit e 48 kHz, che nei prossimi mesi dovrebbe arrivare (per una selezione di file) a 24/192.

Le possibilità di accesso riguardano: ovviamente tutti i dispositivi di qualsiasi tipo marchiati Apple, Android, Windows (tramite iTunes), Sonos e Amazon Echo.

L’interfaccia dell’applicazione è quella che mi è piaciuta di più: pulita, ordinata, intuitiva, con un algoritmo di suggerimenti davvero efficace.

La qualità di riproduzione dei file ad alta risoluzione è davvero molto buona e quella dei file lossy probabilmente la migliore ascoltata (in ottima compagnia di Tidal, cfr dopo).

Apple Music al momento è uno dei pochissimi servizi (si contano sulle dita della mano di un monco) ad offrire lo streaming anche in Dolby Atmos / Spatial Audio, seppure con forti limitazioni sui dispositivi usabili. Non ho avuto modo di provare questa modalità, si di cui ho comunque trovato in giro pareri assai discordanti.

Da segnalare inoltre che molto spesso Apple Music propone anteprime esclusive.

Link: apple.com/apple-music

Deezer

Il servizio francese è anche lui un veterano del settore e – insieme a Spotify – probabilmente quello disponibile sul maggior numero di dispositivi.

Lo streaming di Deezer è disponibile in 3 modalità:

  • freemium
  • premium
  • HiFi

La modalità gratuita – con interruzioni pubblicitarie – garantisce l’accesso a una delle più grandi librerie disponibili: 70 milioni di file, ma a Mp3 a 160 kbps.

Col piano Premium passiamo a Mp3 a 320 kbps, con l’HiFi ai Flac a 16/44.1.

Sugli impianti HiFi la modalità gratuita è un’esperienza mortificante, meglio gli Mp3 a 320 (come per Spotify pesantemente trattati con DSP), mentre la modalità HiFi è perfettamente coerente con la qualità CD.

Molto interessante la modalità Flow, che produce un mix basato sui brani preferiti o con lo stesso mood: davvero efficace l’algoritmo che ne è alla base.

L’interfaccia delle varie app (disponibili praticamente per tutti i dispositivi, wearable compresi) è davvero ben fatta, chiara ed intuitiva.

Link: www.deezer.com

Napster

Ai diversamente giovani Napster fa immediatamente venire in mente pirateria musicale, la piattaforma che 20 anni fa ha praticamente ammazzato il business dell’industria musicale.

Da parecchi anni ormai Napster è diventato un bravo ragazzo ed è un servizio di streaming legale al 100%.

Non mi sofferma a lungo su Napster: non mi ha per niente impressionato se non per il suo equalizzatore a 10 bande. Per 9,95 euro al mese mette a disposizione solamente lo streaming a Mp3 320 kbps e oltretutto con un motore di ricerca interno decisamente migliorabile.

link: www.napster.com

Qobuz

Il chiacchiericcio tra gli audiofili identifica Qobuz come uno dei migliori servizi per gli appassionati della riproduzione musicale ad alta fedeltà (altissima!).

Siamo alle prese con l’unico servizio che dispone sia di un servizio di streaming e sia di acquistare i brani.

Da sempre Qobuz è basato sullo streaming lossless, fiore all’occhiello di un catalogo di circa 60 milioni di brani.

I piani di abbonamento sono sostanzialmente due: Studio Premier e Studio Sublime.

Col piano Studio Premiere per 19,90 euro al mese (nella versione individuale) accediamo all’intera libreria in formato lossless e spesso e volentieri in HiRes Audio Flac a 24/192.

Lo studio Sublime invece costa 249,99 euro l’anno e al piano base aggiunge una serie di importanti sconti per l’acquisto delle tracce.

L’applicazione – disponibile praticamente per tutti gli ecosistemi – è ben curata anche se non abbiamo trovato alcun particolare aspetto che la renda memorabile.

Cosa ci è piaciuto di Qobuz

La qualità audio intrinseca dello streaming di Qobuz è quella che mi ha convinto di più: risposta in frequenza, dinamica, ricostruzione della scena sonora. Tutto al top delle tecnologie attualmente disponibili, compresa una straordinaria ricchezza di dettagli.

Cosa non ci è piaciuto di Qobuz

I problemi di Qobuz sono essenzialmente due.

Per chi non possiede un impianto di alto livello… è praticamente inutile. A tutti gli altri farà godere il piacere audiofilo da sempre bramato.

Il problema più serio, invece, è che a dispetto dei suoi 60 milioni di brani in catalogo, ci sono parecchie lacune, spiacevoli soprattutto per gli appassionati dei generi più moderni e di metal.

link: www.qobuz.com

Spotify

Praticamente la regina del mercato dei servizi di streaming musicale (230 milioni di iscritti), la svedese Spotify sta rimanendo clamorosamente indietro in quanto ad oggi non dispone di un servizio di streaming lossless. 

Presa dall’euforia dei lanci dei suoi concorrenti (arrivati quasi in simultanea da Amazon e Apple), ha annunciato di allinearsi entro fine 2021, ma non sappiamo né quando, né come e né a che prezzo al pubblico).

Un plauso particolare all’applicazione di Spotify, che è vero che non è memorabile, ma è ugualmente gratificante a prescindere dal dispositivo su cui si lancia.

Il profilo gratuito è mortificante per l’audiofilo: interruzioni pubblicitarie e AAC a 160 kbps.

Con l’abbonamento premium (9,99 euro al mese, oltre a diversi piani per coppie o per famiglie), si sale a AAC 320 kbps o al peggiore Org Vorbis a 320 kbps (per fortuna solo da browser).

All’ascolto la qualità della versione Premium s’è dimostrata comunque soddisfacente e a volte sorprendente, seppure pesantemente influenzata dal massivo uso di DSP probabilmente a beneficio di chi ascolta da smartphone con cuffiette più o meno economiche.

Il catalogo è strafornito e attentissimo alle novità.

Spotify deve darsi velocemente una mossa per non perdere il treno dell’audio lossless.

Link: www.spotify.com

Tidal

Il servizio americano è da sempre stato attentissimo alla qualità di riproduzione e probabilmente il più generoso nelle revenue agli artisti.

70 milioni di brani sono disponibili per l’appassionato (difficile trovare lacune) e due i piani disponibili, Premium e HiFi.

Col piano Premium l’accesso ai brani è con codifica AAC a 320 kbps (molto soddisfacente e scevro dagli spettacolari artifizi dei DSP di Spotify), mentre col piano HiFi passiamo ai Flac con 1411 kbps. Con questo piano si ha l’accesso anche a circa 50.000 brani denominati Master (tra 2304 e 9216 kbps), ma codificati col brevetto di Meridian MQA e quindi soggetti alla presenza del relativo codec sul nostro DAC, senza del quale sono riproducibili solo a qualità CD.

A quanto risulta, Tidal è stato il primo servizio a rendere disponibili file con la codifica Dolby Atmos, declinata anche per i dispositivi Sonos 360 Reality Audio.

Molto buona l’interfaccia dell’app, ho apprezzato tantissimo l’algoritmo che guida alla scoperta di nuovi artisti. La versione mobile dell’app è la migliore provata.

link: www.tidal.com

Altri servizi

In realtà i servizi di streaming musicale sono molti di più di questi.

TIM Music, dedicato soprattutto a chi ascolta musica da smartphone e non vuole intaccare il piano dati della sua connessione TIM.

YouTube Music, che punta al pubblico più giovane e al momento dalla qualità audio inaccettabile per un audiofilo.

Primephonic, servizio di streaming per gli appassionati di musica classica semplicissimo da usare e diventato in breve famoso per il suo inedito ed efficace sistema di catalogazione, oltre che per essere ricchissimo di informazioni biografiche.

Gli appassionati di musica classica troveranno pane per i loro denti – oltre che nei tradizionali servizi di streaming – sui canali radio di RaiPlay e su MuseOpen (https://musopen.org/it/radio/).

E poi c’è tutto l’universo delle radio online. Ma questa è un’altra storia.

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