Hi-FI: strategie per creare una nuova generazione di audiofili e un diverso mercato
Due interessanti editoriali, pubblicati da altrettante riviste specializzate, offrono diversi spunti di riflessione su dove sta andando l’Hi-Fi, perché, cosa vuole il pubblico e perché stiamo vivendo una vera e propria fase di transizione. Alla fine l’alta fedeltà non sarà più la stessa. O forse sì.
Della serie “gli editoriali degli altri”: a distanza di pochi giorni mi è capitato di leggere due interessanti articoli (di cui vi linko gli originali), rispettivamente ad opera di Alan Taffel (The Absolute Sound) e di Steve Guttemberg (Stereophile).
Da due punti di vista diversi (Guttemberg è un commerciale puro), entrambi gli articoli cercano di definire cosa può (e deve) fare l’Hi-Fi per uscire dalla crisi che l’attanaglia, intravedendo interessanti scenari futuri e dandomi spunto per alcune personali riflessioni.
Per Taffel quella che stiamo vivendo in ambito Hi-Fi è una semplice crisi di mezza età. Ma quello che vedo io sono anche tantissimi (troppi) operatori con gli occhi foderati di prosciutto, traslando un detto molto in voga a Roma. Altrimenti, senza il pregiato affettato posto ad oscurare la vista invece che a deliziare il palato, non si spiega come non accorgersi dell’entusiasmo del pubblico delle fiere internazionali (non le “sagre” di casa nostra, e chi vi scrive ne ha anche co-organizzata una!) per: cuffie, ampli per cuffie e audio digitale portatile. E della loro quasi esclusiva presenza (insieme al multi-room) all’ultima IFA (e per favore non mettiamo la scusa che quella di Berlino non è una fiera specializzata).
Dall’alto dei miei 50 anni (o forse dal basso, data l’età media degli audiofili italiani e non solo) ricordo come fino alla metà degli anni ’80 gruppi come Simple Minds e U2, giusto per fare un esempio, erano socialmente impegnati e per noi partecipare a un loro concerto significava partecipare ad eventi che avrebbero contribuito a cambiare il mondo. Oggi non ci crede più nessuno, le band per prime (!). Oggi la musica è altro, ma in realtà lo è sempre stato: industria, intrattenimento, a volte arte. E quindi probabilmente meno importante.
Ma anche e soprattutto – beati loro – gli under 40 di oggi hanno vissuto/vivono anni in cui la musica “sgorga” un po’ da ovunque, contendendosi il tempo e lo spazio con infinite altre forme di arte e intrattenimento.
E quindi l’Hi-Fi di oggi sembra debba essere in primo luogo portatile. I produttori di ampli per cuffie/DAC compatti, ma soprattutto i produttori di cuffie non piangono certo miseria. Anzi. E gli audiofili integralisti della vecchia guardia si stanno (finalmente) accorgendo dei passi da gigante che le cuffie hanno fatto negli ultimi 15 anni (ascoltate le elettrostatiche Oppo per farvi un’idea).
Do it simple. È un vecchio, ma sempre valido, adagio americano. Che ben si adatta all’Hi-Fi di oggi (e di ieri e dell’altro ieri). la parola d’ordine è quindi semplicità. Perché tanti e troppi audiofili si stanno (ancora) tenendo alla larga dalla musica liquida ad alta risoluzione? Perché troppo spesso è complicata da gestire! E richiede un livello di alfabetizzazione (anche) informatico che non possono/vogliono raggiungere.
Piccolo e bello. Viviamo in appartamenti sempre più piccoli e abbiamo bisogno di gadget tencologici, alta fedeltà compresa, che siano anche belli. L’ha capito Apple, affidando la leggendaria qualità dei suoi prodotti ad astuti designer. Molti produttori di Hi-Fi fanno ancora finta di niente.
La musica riprodotta non è più un rito collettivo, da ascoltare insieme, con gli amici, stravaccati sulla moquette o sul tappeto. Le case di oggi la moquette non ce l’hanno più! E la musica rimane un rito collettivo solo quando è irriproducibile come evento, ovvero nella sua dimensione-concerto. In tutti gli altri casi è un piacere solitario.
I live rock a cui siamo abituati oggi, ma anche il sound delle discoteche, sono ricchi di bassi. Pile e file di subwoofer occupano sempre più spazio sotto i palchi e nei dancefloor. I bassi tellurici sono le frequenze che rendono la musica fisica, sono quelli più difficili da riprodurre in casa e in cuffia. E sono quelli che gli under 40 (ma anche io) agognano. Perché stupirsi quindi del successo delle cuffie-loudness?
I principali e più diffusi player musicali sono: gli smartphone e i computer. Punto. Chi si rifiuta di fare i conti con questo è irrimediabilmente fuori mercato. E come insegna la Borsa… Mai andare contro il mercato.
Lo streaming musicale non è il Male. O quanto meno lo è solo per gli artisti, strozzati da royalties ridicole. Per noi audiofili lo è né più né meno (anzi, meno) di quanto lo erano le compact cassette.
Quella del vinile è una finta seconda giovinezza. È finta perché gli indici di crescita a due cifre partono da valori prossimi allo zero. Ma allo stesso tempo è un fenomeno interessante. Perché? Perché NON è un mercato trainato dagli ultra cinquantenni che si comprano l’ennesima versione rimasterizzata dei Pink Floyd, bensì è mosso dalle vendite delle nuove uscite, nuove band su tutte. LP acquistati da hipster che hanno scoperto come si usa lo stereo di papà, acquistano il disco-nero-feticcio, lo ascoltano un paio di volte (o neanche lo aprono) e invece consumano (se solo di potesse) la versione digitale dell’album, fornito in automatico con gli acquisti su Amazon.
E quindi?
Al termine di questa fase di transizione, in verità allo stato piuttosto avanzato, l’Hi-Fi non sarà più la stessa. Tutto cambierà. Gli apparecchi in grado di generare fatturati significativi saranno molto diversi da quelli di ieri, più simili a quelli di oggi, e i retaggi dell’altro ieri (su di cui la maggior parte dei produttori continua ad investire, mentendo sapendo di mentire) saranno pura archeologia audiofila. Ma allo stesso tempo non cambierà nulla. Perché lo scopo primario dell’alta fedeltà è e rimarrà lo stesso di sempre. Gattopardianamente… è necessario cambiare tutto affinché non cambi nulla.
Buona musica a tutti.